BREVI NOTAZIONI GENERALI SUL SOVRAPPESO

    Se state leggendo queste pagine noiose è segno che l'argomento "Eccesso di peso" è cosa che Vi interessa da vicino, forse in prima persona, forse perchà "colpisce" qualcuno che Vi è caro. Quasi sicuramente avete già provato Voi direttamente, o visto provare da quel qualcuno che Vi è caro, qualche passato (presumibilmente plurimo) tentativo dietetico a scopo dimagrante. E allora, cominciate col consolarvi: sappiate che Il problema del sovrappeso non è Vostro solo, dal momento che siete in numerosa e abbondante (in tuti i sensi) compagnia. Esso rappresenta, in effetti, un affare di complessità inaudita, che coinvolge, insieme, la civiltà moderna e i modelli di vita delle società sviluppate, le spese correlate -che si riverberano pesantemente sul carico economico dei sistemi sanitari-, il vissuto interiore e il livello di autostima di chi -direttamente o indirettamente- ne è coinvolto. Studiosi di politica sanitaria e di modelli sociali, politici tout court (vedasi, ultimo esempio, la recentissima querelle tra Nicolas Sarközy e la dirigenza di Coca Cola), esperti di pubblicità e marketing, medici generalisti e internisti, epatologi-gastroenterologi-diabetologi-endocrinologi-nefrologi-cardiologi, industriali, chirurghi estetici, dietologi e nutrizionisti (pare siano diventati specie diverse, da un po' di tempo a questa parte, chè appellarsi "dietologo" è diventato disdicevole, troppo semanticamente simile a "dietista", roba da "laurea breve": "nutrizionista" è, chiaramente, più indicato, molto, ma molto, meglio), agopunturisti, psicologi e psicoterapeuti di varia estrazione, imprenditori, economisti, "stregoni" e ciarlatani, umoristi, saggisti, biologi e biochimici, agronomi, etologi e antropologi, pittori e scrittori, documentaristi, sceneggiatori, cantanti (memorabile, con la sua "Rosalina", il Fabio Concato di alcuni anni fa): l'elenco della schiera delle categorie professionali di coloro i quali si sono applicati al problema, e continuano, con maggiori o minori serietà e impegno, ad occuparsene, sarebbe troppo lunga, e destinata a rimanere comunque incompleta. Un solo dato, in tutto questo, è da considerarsi certo: quando da mangiare non ce n'è, non si ingrassa. Anzi, al contrario: in genere si dimagrisce. E' nella sostanza quello che, con chiara volontà iper-semplificatrice (tipica, del resto, del chirurgo), ama dire all'inizio delle sue "lezioni" il prof. Cappello (non dice, però, che una cosa è non ingozzarsi di qualcosa perchè a casa, semplicemente, non ce n'è, ben altra perchè, più "virtuosamente", non se ne ha voglia, o si riesce a fare altro al suo posto). In effetti, in periodi di guerra e carestia il sovrappeso fa come il diabete non insulinico, e, in parte, la gotta e l'ipertensione arteriosa: si perde sotto traccia. Un fiume carsico che poi, però, riaffiora inesorabile quando "'a nuttata" è passata. Ma il fatto di essere razionalmente consapevoli che «il grasso fa male», e che se di roba da mangiare fisicamente non ce n'è allora non si ingrassa, e che, quindi, basterebbe fare come se non ce ne fosse, per risolvere il problema e contrastare il dilagare della "malattia moderna del benessere"*, ha dimostrato di non poter correggere in nulla -al massimo scalfire in superficie- la "vaexata quaestio" (la scritta «Il fumo uccide» sui pacchetti di sigarette non ha mai risparmiato a nessuno una sola boccata; come nessun divieto morale-sociale-religioso-giuridico ha mai impedito -e neppure le convenienze economiche, nè l'aleatorietà della possibile alcova-, a chicchessia ne avesse voglia e sentisse necessità, di "farsi l'amante"). Sono oltre 6 decenni che il mondo occidentale prova a combattere una battaglia, che, però, continua a rivelarsi persa in partenza. Chi mi legge rifletta su un fatto sul quale, normalmente, non si fa particolare mente locale: è una regola di carattere generale, valida in ambito medico, ma non solo. Ovvero: quando per un problema apparentemente insolubile, e per il quale tutto sia stato inutilmente già tentato, qualcuno escogita una soluzione sicuramente efficace e di agevole "compliance" (è un termine criptico che i medici adottano quando, tra loro, discutono del "grado di facilità" con la quale un protocollo terapeutico specifico possa essere più o meno agevolmente, e più o meno affidabilmente, seguito da parte dei pazienti ai quali venga prescritto), ebbene, si può stare pur sicuri che dal giorno successivo tutti lo adotteranno. Un piccolo esempio, banale (vedo già i risolini di compatimento dipingersi sui volti di qualche collega, incontestabilmente ben più serio e preparato di me: ebbene, ridano, ridano pure): a cavallo della Seconda Guerra Mondiale l'industria farmaceutica americana rese disponibile e commercializzò in abbondanza il ritrovato della recente scoperta di Alexander Fleming: la Penicillina. Fu l'inizio dell'era antibiotica, quella che avrebbe (ed ha) completamente rivoluzionato il rapporto dell'uomo con l'universo batterico, il quale ultimo era rimasto dominatore incontrastato della patologia umana fin da tempi ben anteriori a quelli di Ippocrate. Ebbene: si trattò di una rivoluzione assoluta, incontrastata perchè incontrastabile, una cosa che avrebbe (ed ha) cambiato dalle fondamenta le "abitudini sanitarie" (degli utenti come degli operatori) delle civiltà evolute. Nessuno, oggi, si sognerebbe di trattare ascessi, otiti e polmoniti con i metodi in uso "prima": semicupi, suffumigi, impacchi vari. Qualcuno dica in quale scuola di medicina se ne insegnino più tecniche e prescrizioni: tutto inesorabilmente spazzato via. Ferrivecchi della Storia della Medicina. Ebbene, si provi a fare esercizio di trasposizione di questo concetto al nostro campo, quello dell'obesità: state pur certi che se qualcuno avesse inventato il metodo risolutore e facile per vincere sull'obesità, l'arma assoluta, lo starebbero adottando già tutti, e da tempo. Quale la realtà fattuale, invece? La risposta immediata la trovate nella lettura delle riviste femminili -ma non solo- del gennaio di ogni anno (titoli del tipo «Come perdere in 7 giorni i chili accumulati a Natale»), oppure del periodo marzo-giugno (l'annata sceglietela Voi: «Perdi 10 chili e ti prepari all'estate»). E' un fatto che la primavera di ogni anno veda moltiplicarsi gli appuntamenti in palestra e dal dietologo, e pure che la sera a cena si finisca regolarmente col prendere spunto da uno dei commensali che "sta a dieta" (uno, o più di uno, c'è sempre: peccato che dimagrisca solo nelle intenzioni, in genere, o perda 3 chili e ne riguadagni 4...) per discutere di diete, e di correlati "esperti della materia". E poi, le trasmissioni televisive o radiofoniche (si ascolti "Il Gastronauta" -servizio, per altro, assai ben fatto e curato e condotto- su "Radio 24", per fare solo un esempio attuale) interamente dedicate all'argomento, e lo «Spazio del dietologo» -al mattino, in genere- all'interno di trasmissioni di grido (a latere, magari, di spazi dedicati allo slow food, a sagre culinarie, allo chef del momento): e così senti vantare, prima, i sentori, gli aromi, i titillamenti gustativi, il piacere dei sensi, la poesia, di dentici di Ponza di passo nel Tirreno, tonni rossi pescati a traina alle Bocche di Bonifacio, ananas «colti maturi appena 48 ore fa» dalle campagne del Camerun o dello Sri Lanka, sformati di patate rosse delle pendici a occidente del Pollino, lardo stagionato e pancetta affumicata dei mastri salumai dell'alta Val Chiavenna, maestose bistecche Chianine delle campagne dell'Aretino, quel tal formaggio di fossa che nessuno in Italia e nel mondo ne fa un altro tal quale, e quel salume stagionato a grana sottile col 30% di lardo di cinghiale della Cinta Senese, e, per non farci mancare niente, quel tal Barolo delle basse colline del Monferrato con sentore di tamarindo e retrogusto di "spezie orientali e cuoio vecchio" (e tutti a domandarsi di cosa sappia il cuoio vecchio...); poi, a seguire (segue sempre, chè prima sarebbe inutile), il nutrizionista di grido (altrettanto stella televisiva del mattino, in genere, dello chef di cui poc'anzi), il quale si arrabatta a specificare valori nutrizionali e apporti calorici di tutto quel che perigliosamente è stato appena prima proposto al pubblico, invidioso dell'altrui fortuna e adorante; con il professionista che recita puntualmente in commedia la parte affidata a colui al quale sia stato commissionato l'incarico impossibile -diligentemente svolto per il tramite del divulgare distillati di sapere con convinto linguaggio popolar-scientifico- di "difendere" ciascuno di noi dalle conseguenze deleterie di tutto quel ben di Dio di prima. Nulla quaestio: lo chef fa il suo proprio mestiere (la pubblicità indotta, con ogni probabilità, non si rivelerà di ostacolo alle casse dei locali dove fa ristorazione), il nutrizionista si fa vedere in televisone per assolvere seriamente e per bene -nei 3-4 minuti a sua disposizione- al compitino arduo che gli hanno affidato, il presentatore -insieme con la bella di turno che lo accompagna- fa audience come da contratto (li pagano per quello). Problema: che "messaggio", alla fine si porteranno a casa gli spettatori (al termine di molte esposizioni congressuali, ai nostri convegni medici, alcuni relatori sistemano la breve sezione finale: «Che "messaggio" portare a casa»)?. E che messaggio si portano a casa i lettori della "Dieta del Minestrone" (ovvero, dei "7 chili in 7 giorni"), e della "Dieta Atkins" (quella dei pasti privi di zuccheri), e di quella "WeightWatchers" (quella, rivelatasi del tutto inutile, dei "punti" e delle "riunioni" col supporto dello psicologo, per intenderci), e della "Dieta dissociata" del dott. William Howard Hay, e di quella "Dei giorni alterni", e della "Dieta Arcobaleno" ("i 5 colori della salute" -!?!-: rosso, giallo-arancio, verde-blu, viola, bianco), e della "Scarsdale" (l'ennesima iperproteica: "3,3-2,3-4,3" Kcal., in luogo del canonico "5-3-2", per periodi della durata di 2 settimane), e della "Montignac", e della "Tisanoreica di Gianluca Mech" (quella -molto costosa- che pare sia tanto cara al Silvio Berlusconi e alla Valeria Marini, e anch'essa guarda caso basata, in fondo in fondo, su uno squilibrio alimentare iperproteico della durata di qualche settimana), e della "Dieta Zona" (quella del biochimico americano Barry Sears, pur'essa basata su uno "squilibrio alimentare" -in questo caso sostanzialmente permanente: orrore e raccapriccio!!!- di tipo moderatamente iperproteico e chetogenico, con gli apporti alimentari portati a percentuali del "4-3-3", diverse dal classico "5-3-2" visto in altra parte di queste pagine), e del "Metodo EasyWeigh di Allen Carr"* (quello che, non medico, è diventato famoso vantandosi di riuscire a convincere la gente a smettere di fumare, utilizzando le sue proprie forze), etc. etc. etc.? Quale di queste funzionerà sino, e oltre, la stagione balneare prossima ventura? Ma poi, e, anzi, sopra a tutto: perchè la gente ama rivolgersi a tutta questa roba, con tanti bravi dietologi-nutrizionisti -"classici" e rassicuranti- che operano sul mercato? Perchè le cose originali e "strane" (talora molto care) e non, invece, i più rassicuranti professionisti accreditati dalla Scienza Medica codificata? Risposta semplice: perchè, in realtà, la soluzione vera non ce l'ha proprio nessuno, nè colti, nè incliti, nè strani, nè conformisti, nè zuzzurelloni. E non parlo della soluzione risolutiva, quella definitiva, "finale", mi accontenterei di una passabile, accettabilmente efficace almeno in una parte apprezzabile di quelli che vi si sottopongano.

    E invece no: l'efficacia finale (statistiche O.M.S., mica mie) si rivela, alla fine della giostra, praticamente infima per tutti, per le ragioni che potranno leggersi più in là, in ordine sparso, in queste stesse pagine. Metà dei soggetti che partono con una dieta ben fatta, pure ben seguita da un professionista esperto di "poche calorie" (troppo spesso sovrappeso anch'egli, il che è tutto dire...), non arriva al risultato che si era prefissato. Di quelli che ci arrivano, poi, oppure ci vanno vicini, il 95% (il NOVANTACINQUE%, per chi pensasse di non aver letto bene!!!) ritorna ad essere quello che era (o addirittura "peggio"), e in tempi più o meno brevi. Risultati definitivi che, ove fossero stati giudicati con i criteri statistici di efficacia oggi in uso (ovvero, in primis, con il metodo dell'"E.B.M.", l'Evidence Based Medicine ricavato da qualche "Cochrane": esattamente l'opposto, vale a dire, dell'"Ipse dixit" che qualcuno vorrebbe imporci), da tempo sarebbero stati accreditati di assolutamente trascurabile valore terapeutico, sostanzialmente privi di "evidente" -appunto- sembiante di scienza. Eppure, "la meno scientifica delle scienze", ovvero quella medica (in una con tanta bella industria -alimentare, informatica, congressuale, editoriale, tutto già visto- che la segue da presso), continua a spingere irrefrenabile nella direzione praticamente esclusiva -qualche insignificante "aggiustamento" in qua o in là non ne cambia l'intima sostanza- dell'equilibrio alimentare costante e obbligato, della "bilancia" in cucina e -sopratutto- delle "poche calorie"; da 60 anni e passa a questa parte, da quando, cioè, le diete ipocaloriche vennero "inutilmente" inventate (qualcuno definisca in altro modo, per favore, un metodo di lavoro che riesce a risolvere dai 2 ai 5 casi, sui 100 ai quali venga applicato). A me, modesto mediconzolo della periferia dell'Impero, non viene in mente altro che il termine "fallimento", per definire il risultato di 6 decenni di battaglie perse. Non è denigratorio: è descrizione asettica di un fatto (basta guardarsi un po' in giro, se con le statistiche non si abbia familiarità, o se ne diffidi). Il fatto drammatico che il metodo delle "poche calorie" è sicuramente un ottimo strumento educativo per operatori e utenti, un impareggiabile attrezzo di cultura e una base di lavoro, ma, in sè, un pessimo, perdente, procedimento operativo (l'economista di livello e l'esperto di finanza internazionale non sono necessariamente, sulla base sola della loro cultura, dei buoni commercialisti: all'uopo può risultare più produttivo un banale ragioniere). Da solo NON RISOLVE NIENTE: si riduce a un bell'esercizio di teoria applicata (per altro oggi coadiuvato da tanti bei software costosi, di bella grafica e impareggiabile aiuto ad estrapolare curve, tabelle, target, proiezioni dinamiche), trincera i suoi insuccessi dietro la cattiva collaborazione del paziente (che non segue -dovrebbe vergognarsene, la colpa non può essere che "sua"- le prescrizioni alimentari e i consigli di attività fisica e di movimento forniti dall'incolpevole professionista), e poi passa, indolente, all'insuccesso successivo.

    Agli estimatori contemporanei dell'esclusività della scienza delle "poche calorie" potrebbe attagliarsi alla perfezione quell'aforisma che, in un fortunato tempo lontano, veniva spalmato sulla classe medica in generale, diffusamente ritenuta, tra tutte, quella prediletta dalla dea bendata, perchè «Il sole splende sui suoi successi, la terra ricopre i suoi fallimenti». E qui per "terra" si intende l'oblio dei "dimenticati", quelli che alla fine rimangono, interlocutori solitari, a dibattere di notte con il loro amato-odiato frigorifero, subito dopo che lo splendente risultato del peso (prima prefissato e poi -e non sempre- faticosamente raggiunto) è stato finalmente ottenuto...

    E da soli, del resto, nulla possono neanche psicologi, psichiatri e psicoterapeuti, che pure si sono avventurati nel campo (una loro corrente di pensiero afferma, addirittura, che la causa prima dell'obesità sociale sarebbe la stessa esistenza delle diete: basterebbe dimenticarsene e il problema, per inspiegabile incanto, svanirebbe...). Sigmund Freud, quando s'inventò la "fase orale", con ogni probabilità aveva -nella specifica fattispecie, almeno- visto giusto. Il piccolo bambino sente il bisogno irrefrenabile di succhiare (il ciuccio, il capezzolo, il proprio dito -o tutta la mano-, fa poca differenza), anche del tutto a prescindere da esigenze immediate di tipo alimentare: «Lasciaglielo fare, scarica tensione», mi disse una volta un mio maestro barese, a cui osservavo, insistendo per una possibile soluzione, che così «si distruggeva» la cute del pollice. «Che tipo di tensione può affliggere un lattante?»; «La tensione, lo stress, la frustrazione, sono parte indissolubile delle natura umana, e, come tali, presenti ad ogni età e in qualunque strato sociale», fu la risposta. Appena specializzato, annuii, ma senza particolare convinzione. Aveva ragione lui. Il lattante scarica tensione portando tutto alla bocca: conosce il mondo, così, e contemporaneamente impara a difendersene.

    Le madri dei piccoli umani di tante parti del mondo passano il cibo premasticato dalla loro bocca a quella del figlioletto in età da divezzo: li nutrono, e, con questa sorta di bacio primordiale, li rassicurano. Usanza dalla quale sarebbe anche nata, secondo molti antropologi, l'abitudine affettiva adulta -quasi universale- del bacio "bagnato" tra innamorati. Il pensiero primo della madre è quello di proteggere il proprio piccolo: e, tra le forme di protezione, la prima in assoluto è rappresentata dalla preoccupazione per il nutrimento. Fingiamo spesso di ignorare che il "pallium", la corteccia cerebrale sede del pensiero razionale, è solo l'ultimo arrivato della serie. Invito tutti a leggere qualcuna delle opere che sono state il pane della mia -ahimè lontana- gioventù sognante, alcune delle pubblicazioni divulgative di quell'umile gigante delle scienze biologiche che rispose al nome di Konrad Lorenz. Il processo di domesticazione degli animali da parte dell'uomo è avvenuto sempre, fin dalla notte dei tempi, partendo dal nutrirne i piccoli dalle primssime età, dopo averli sottratti ai loro genitori naturali: alla sua origine, è un processo "spontaneo" molto vicino a quello, consapevolmente indotto, dell'"imprinting", descritto in modo assolutamente affascinante proprio da Lorenz in tanti dei suoi scritti. Ogni animale superiore "sociale" (o anche solo potenzialmente "gregario") tende per istinto naturale a sentirsi come facente parte del gruppo di chi lo ha nutrito in età evolutiva, e poi continua a fornirgli, anche da adulto, gli alimenti (o i mezzi per procurarseli) di cui ha bisogno (mutatis mutandis, è lo stesso identico fenomeno che si verifica in quei rarissimi casi in cui il tutto si verifica in senso inverso, con il piccolo di uomo allevato da qualche nutrice selvatica: cosa, per quanto eccezionale, già ben nota nell'antichità classica, come testimoniato dalla leggenda di Romolo e Remo allevati da una Lupa). Noi umani siamo esseri estremamente meno perfetti di quel che amiamo ammettere. Non siamo macchine costruite "ex novo" per le bisogna del tempo moderno, ma il risultato di una serie lentissima di stratificazioni biologiche e neurologiche successive, dal verme, al rettile, al protomammifero, alla scimmia antropomorfa, all'uomo raziocinante. Il nostro "pallio" deve fare i conti ogni giorno, ogni minuto, con tutto quello che gli si trova sotto (dal punta di visto della "location") e prima (da quello filogenetico). L'impulso all'accudimento della prole, all'autoconservazione, all'autodifesa e alla difesa della specie, l'aggressività per il "controllo del territorio" nei confronti dei cospecifici, la spinta interiore a soddisfare pulsioni sessuali e alimentari, le reazioni di paura e di fuga, lo stress che ne deriva. Sono tutti elementi tratti fior da fiore, in questa breve rassegna, da ciò che neurologicamente preesiste di milioni di anni all'"Homo Sapiens", e che lo stesso homo sapiens si porta appresso, da sempre, come carico istintuale irreprimibile, invincibile (solo temporaneamente, e solo in parte, controllabile da sovrastrutture di tipo sociale e culturale, che noi uomini civilizzati abbiamo nei millenni imparato ad iscrivere, appunto, nella corteccia grigia razionale). Soggetti -all'apparenza, in certo modo- imperfettamente costruiti. Per meglio dire, perfettamente strutturati per sfruttare a dovere un mondo "antico" che non c'è più (del resto, è quello che accade in tutti gli animali selvatici, capaci sì di accumulare un po' di riserve di grasso, ma anche di conservare in vario modo, da qualche parte, i grandi eccessi alimentari che si rendessero saltuariamente disponibili; ma pure istintivamente capaci di controllare  il loro istinto di "mangiare subito tutto", evitando in tal modo di ingozzarsene); quegli stessi uomini sono invece usi, oggi, a vivere secondo modelli sociali, culturali, economici, alimentari, mille miglia lontani da quelli che la lenta filogenesi biologica avesse previsto. Un animale selvatico "sa", per interiore e imperativa Legge di Natura, che se ingrasserà troppo il suo mondo non gli consentità di sopravvivere, e soccomberà alla Legge del più Forte (il quale, in genere, è anche il più agile e il più veloce, tanto sul versante dei predatori -il leone-, quanto su quello dei predati -la gazzella-). E lo sa, nonostante non gliel'abbia rivelato nessun istruito e distinto nutrizionista. Lo sa e basta. Sa, esattamente, quello che sapeva il nostro antenato delle caverne: e, all'epoca, di indispensabili nutrizionisti in giro non se ne intravedeva ancora traccia. E neanche di medici, a ben guardare.

    L'ostinarsi pervicacemente a pensare che, senza far ricorso a qualche "risorsa aggiuntiva" (il sondino, tra queste, e finchè non si troverà qualcosa di meglio, può essere immaginato come la "chiave" per fuggire dalla prigione, di cui parla Allen Carr -vedi in fondo a questa pagina-), il solo prescrivere "meno calorie" possa rivelarsi di una qualche reale possibilità di successo è non solo illusorio e inutile: è fuorviante, e rischia di diventare pericoloso. Chi fallisce una dieta (quasi tutti), poi ne proverà un'altra, e poi un'altra. E sarà fortunato, quanto meno, se si farà ogni volta seguire da un professionista attento, onesto e preparato: eviterà, almeno, di procurarsi danni. Il rischio serio è però che poi, quello stesso paziente, stanco dei costosi fallimenti (i nutrizionisti "classici" si pagano anche loro, mica solo il "sondino", o il "metodo Dukan", o la "Zona"), alla fine si risolva a fare da sè («Tanto», pensa, «fallire per fallire, fallisco da solo: se non altro è gratis»), seguendo le tecniche più assurde e fantasiose, ed entrando in una pericolosa spirale di tentativi ed errori, con il peso che va un po' su e un po' giù: la deleteria "altalena ponderale". Lo "stare a dieta" a settimane o mesi o stagioni alterni... la dieta che -invariabilmente- «comincia da lunedì prossimo»: il peggio del peggio, ma quello che, prima o poi, hanno fatto -e fanno- un po' tutti gli obesi.

    Allora, per favore, cerchiamo di essere, tutti, un po' più onesti, e ammettiamo che, dopo una partita durata 60 anni, la squadra delle "poche calorie" (i "Modigliani", in sostanza) contro quella ben più poderosa dell'"istinto" alimentare (i "Botero") ha sonoramente e definitivamente perso, semplicemente perchè non poteva che perdere, troppo impari essendo, tra le due, il "peso" e la dotazione di forze. Prendiamo atto che per provare a prevalere (di veramente risolutivo, in senso assoluto non c'è, ahinoi, ancora niente: quello ecogitato dal prof. Cappello è solo lo strumento meno faticoso e deprimente -e il più rapido e sicuro- rinvenuto fin'ora, non certo l'arma finale) bisogna andare incontro alla fragile e composita natura media del soggetto obeso: contro questa natura è assolutamente indispensabile agire presto, ottenere il massimo possibile dei risultati nel breve periodo, escogitare qualche trucco di agevole attuazione, atto ad aiutare il paziente a non soccombere in breve tempo ai comandi del suo proprio ipotalamo, il quale ha memorizzato bene il livello di adipe a cui era arrivato, e là spinge prepotentemente a ritornare.

    Chi sta scrivendo queste poche righe è un obeso cronico (Ex? Quasi ex? Potenziale ex? Chi è stato obeso resta tale dentro, a vita, e rimane per sempre a rischio di ritornare ad esserlo nel concreto), il quale ha provato prima di tutto sulla sua propria pelle, e nella sua testa, tutto ciò che ogni qualsivoglia obeso sente nel suo fisico e nella sua mente (questo vale per TUTTI gli obesi, cambia solo la misura del sentire, e/o del darlo a vedere), per causa di una condizione che -anche se non lo dice- gli fa paura, e lo mette sempre e comunque a disagio; il quale ha intrapreso tanti passati, deprimenti e fallimentari, tentativi dietologici, per tornare poi sempre là da dove era partito; il quale ha incontrato sulla sua strada, quasi per caso, «la N.E.C. del prof. Cappello», e ci ha messo oltre un anno (fatto di dubbi, di attesa, di studio, di ripensamenti, di bibliografia, di rimembranze, di Internet, di discussioni scientifiche, di nottate perse sui testi e sul web, di vacanze fatte di approfondimenti e riflessioni sul tema, etc.) a farsi "costringere", alla fine, a «provare anche questa cosa». Chi sta scrivendo queste righe ha sperimentato, e studiato, e ripetuto prima di tutto su sè medesimo, il metodo del prof. Cappello, attendista e timoroso all’inizio, dubbioso durante, conquistato alla fine, ma sempre mantenendo, prima, durante e dopo, il controllo razionale della faccenda: e qui, il termine "controllo" sta anche proprio nel senso di supervisione altra del proprio stato clinico-metabolico-laboratoristico. Per arrivare, alla fine, a trovarsi meno grasso, più in forma, con i parametri di laboratorio essenziali, e quelli predittivi di sindrome metabolica, tutti, invariabilmente, e, se vogliamo, inaspettatamente, e costantemente, migliorati.

    Una domanda, infine, sorge spontanea: dopo 60 anni di obesità universalmente trionfante, quanti, tra i sostemitori delle "poche calorie", si sono mai onestamente chiesti se il problema di fondo non stia solo (o, forse, non stia per niente) nel modo in cui il "paziente" si adatta ai (pesanti) dettami prescrittigli? Se invece l'errore non stia, per così dire, "nel manico", ovvero nei metodi utilizzati dalla stragrande maggioranza degli operatori del settore? In altre parole: se non sia affatto compito dell'utente quello di doversi adattare alla realtà virtuale generata dai desideri del professionista nutrizionista, ma debba essere quest'ultimo, al contrario, a farsi carico, per suo preciso dovere di umile medico e attento, della realtà reale del suo utente-paziente? Ci hanno già provato il buon Platone, e poi Jean-Jacques Rousseau e Karl Marx, a teorizzare l'edificazione dell'"Uomo Nuovo". Giganti del pensiero universale. Invano. Chè la realtà dell'"uomo in carne e ossa, e nervi, e sangue" ha sempre, inevitabilmente, finito col prevalere ad ogni livello, alla fine, su millenni di tentativi reiterati e regolarmente falliti (eppure ci si impegnarono fattivamente, per dire solo del secolo appena tramontato, Iosif Vissarionovič Džugašvili -detto Stalin-, chi lo precedette, ovvero Vladimir Il'ič Ul'janov -detto Lenin-, e Mao Zedong -meglio noto ai non connazionali cinesi come Mao Tse-Tung-, i quali tutti, con le loro armate, non erano propriamente inquadrabili nel gruppone degli ultimi arrivati). Forse, per tornare a noi -prossimi parenti degli abitanti di Lilliput-, per ottenere risultati meno sconfortanti degli attuali, sarebbe il caso di accettare di confrontarci, finalmente, con la realtà vera delle cose, e tentare non di piegare l'uomo alla dottrina, ma di piegare a lui, invece, la teoria e la pratica che si ritenga opportuno di cucirgli addosso. Prendere atto che diete ipocaloriche e nutrizionisti classici non funzionano, semplicemente perchè NON POSSONO FUNZIONARE: usati da soli sono metodi di lavoro profondamente sbagliati, del tutto inutili. Vogliamo proprio dirlo? Si utilizzano ancora, correntemente, a causa dell'incessante lavaggio del cervello che da decenni la presuntuosa e avida "industria del settore" (alimentare, dietologica, ginnica, informatica, congressuale, accademica, associazionistica, editoriale, etc. etc.) usa propinare, instancabile, alle popolazioni occidentali "ricche". Chi la utilizza come unico mezzo di lavoro probabilmente non si accorge neanche di agire in maniera errata, proprio perchè non riesce, per cristallizzato ruolo istituzionale, a pensare in modo diverso: il troppo professionismo uccide, il troppo professionismo provoca inevitabili chiusure mentali di sapore settoriale, e le chiusure mentali rappresentano la base delle inevitabili sconfitte. «Think different», verrebbe da dire, a tutto il Barnum che gira, e gira, e gira, intorno alle poche calorie. Ma molti, troppi, non ci riusciranno affatto, a "pensare differente" -anzi, neanche ci si proveranno, perchè troppo "vecchi dentro"-: speriamo in una nuova generazione di professionisti, finalmente istruiti proprio dalle stesse sconfitte dei padri. I quali padri si sono baloccati per tutta la vita con un metodo di lavoro che ha conseguito i risultati durevoli che sono sotto gli occhi di tutti, ovverosia quelli tipici del semplice placebo (ripeto, a scanso di indesiderati equivoci semantici: Il metodo dimagrante basato sulle poche calorie ha dimostrato sulla distanza, sì e no, gli effetti di un costoso placebo -viene da pensare che, in quei pochi in cui abbia funzionato, il merito "psicologico" stia proprio nei "costi" salati, in termini di tempo, fatica, umore depresso e denaro, investiti nell'impresa-). Risultato finale del suddetto lavaggio del cervello (dagli effetti tanto sfolgoranti, in termini di pubblicità e marketing, quanto sconfortanti, sul piano dell'efficacia clinica e sociale): 45% della popolazione sviluppata, oggi, in condizione di vario grado di sovrappeso, 30-35% (1/3 del totale!!!) francamente obesa, 1 bambino su 8, nelle nostre scuole, in sovrappeso, e 1 su 10 già obeso ben prima di arrivare all'età dell'adolescenza (sono quelli che, in gran misura, non dimagriranno più). Come vogliamo chiamarlo, tutto ciò, se non bruciante "sconfitta su tutta la linea", della classe medica e, più in generale, dei nostri modelli di programmazione politica, sociale e sanitaria?!? E però seguitano imperterriti, tanti professionisti del settore, ad issarsi sul gradino più alto, e da lì pretendono pure -novelli depositari del Verbo- di continuare a predicare, alle genti, perle di inutile scienza e finta saggezza. Sarà il misterioso fascino dei perdenti, che li fa ancora ascoltare da folle di sfigati (il tipo medio di chi li ascolta è chiaramente, infatti, quello dell'obeso sfigato: altrimenti non se ne rimarrebbe certo lì, attento, a stare a sentire qualche solone discettare, serio, di noiosissime chiacchiere sul conteggio di grammi e calorie in cucina, o sul "5-3-2" in luogo dell'"esiziale" (?!?) "4-3-3", ovvero sul numero corretto di sedute settimanali da dedicare alla palestra -sedute che nessuno di loro farà mai secondo prescrizione e promesse, se non, qualcuno, nella stagione prebalneare, con la speranza segreta -e in genere vana- di non doversi poi troppo vergognare, qualche mese dopo, in spiaggia). C'è qualcosa di realmente patologico -di ridicolo, se non fosse drammatico- nella freudiana tendenza ("Quo usque tandem abutere...?") alla "Wiederholungszwang" (vale a dire la "coazione a ripetersi", nonostante tutto e nonostante tutti) regolarmente manifestata, contro ogni evidenza fattuale, dagli strenui difensori della pratica perdente delle "poche calorie".

   *Da medico, non concordo (e come potrei?) praticamente su nulla delle teorie anti-scientiste propugnate da Allen Carr nelle sue pubblicazioni popolari (la più famosa di tutte, "The Easyway to Stop Smoking" del 2004, è un successo editoriale che l'autore ha cercato di emulare, nel 2008, con la "EasyWeigh" per smettere di ingrassare, testo in cui si mutuano una serie di concetti ricavati, a piene mani, dalle metodiche in uso nella psicologia cognitiva): teorie infarcite di concetti superficialmente salutistici e di praticamente nullo spessore scientifico (l'autore, del resto, è, in origine, un commercialista -!?!-: dilettanti sì, ma fino a un certo segno...). Tuttavia, nella parte introduttiva della sua pubblicazione sul controllo del peso, si legge un passo esemplificativo di un certo modo di procedere tipico di una parte della scienza medica ufficiale (o, per meglio dire, di chi appella se stesso come il suo interprete fedele). Intendo riportarlo qui di seguito, e non ne muterò neanche una virgola, nel copiarlo esattamente come si trova scritto nella traduzione italiana di uno dei suoi ultimi libri, rinvenibile attualmente nei normali circuiti di vendita. E' un passo che reputo assolutamente paradigmatico della sopravvenuta necessità di stigmatizzare un certo modo, superato e assolutamente sbagliato, di pensare ed agire: «... Immaginate di essere un prigioniero di guerra e che un dottore, dopo avervi visitato, vi dica: "E' molto umido qui dentro e lei potrebbe ammalarsi di polmonite. Inoltre è malnutrito; ma si rende conto dell'angoscia che sta causando alla sua famiglia? Temono che finirà molto male. Lei sembra una persona abbastanza intelligente, perchè non fa il bravo e torna a casa?". Non pensereste che il medico in questione sia un completo imbecille? Eppure questo è esattamente quel che succede quando un dottore elenca ad un fumatore i pericoli che corre fumando, o quando spiega ad una persona in sovrappeso i rischi legati al suo comportamento. Il prigioniero, il fumatore e l'obeso sono consapevoli dei pericoli derivanti dal loro stato. Anzi, sarebbe logico supporre che, poichè soffrono di tali disagi in prima persona, ne siano ancor più consapevoli della persona che glieli illustra. E' vero che, unendo forza di volontà, impegno e disciplina, il prigioniero può evadere, il fumatore smettere di fumare e l'obeso controllare il suo peso, e migliaia di persone lo hanno già fatto: tanto di cappello! Meritano le nostre congratulazioni. Ma il mio pensiero va agli altri, quelli che, forti o deboli, non ce l'hanno fatta a scappare. Quello di cui il prigioniero ha veramente bisogno non è una ramanzina, ma la chiave che gli permetta di evadere dalla prigione. I fumatori e le persone in sovrappeso si trovano nella medesima situazione, e l'ultima cosa di cui una persona in sovrappeso ha bisogno è qualcuno che, salendo in cattedra, gli spieghi quanto un'alimentazione errata faccia perdere la stima di se stessi, e causi problemi di respirazione, mancanza di energia, dispepsia, costipazione, diarrea, indigestione, palpitazioni, ulcera, intestino irritabile, pressione e colesterolo alti, disturbi al cuore, problemi di circolazione, disturbi allo stomaco, ai reni, al fegato, al colon, solo per nominarne alcuni... Quello di cui hanno veramente bisogno le persone in sovrappeso è la chiave che renda loro facile controllare il peso... Potreste obiettare che... i fumatori e le persone in sovrappeso... hanno la possibilità, se vogliono, di modificare la loro condizione, e, se sono così stupidi da non farlo, hanno solo loro stessi da biasimare. In realtà, però, la situazione è esattamente la stessa (del campo di prigionia, n.d.r.). Chi ci fa la predica potrebbe ritenerci degli imbecilli, del resto noi stessi ci consideriamo tali, poichè sappiamo di essere la causa dei nostri mali. Ma il fatto è che se fumate o mangiate troppo, pienamente consapevoli di rovinarvi la vita, e non avete mai fatto nulla per risolvere il problema, allora siete stupidi. Se invece avete fatto dei tentativi ma avete fallito, allora non siete stupidi. Potreste giudicarvi tali ed avere la convinzione di essere dei deboli. Ma fa davvero qualche differenza il fatto che siate sia il prigioniero che il secondino di voi stessi? Il solo motivo per cui avete fallito e rimanete nel carcere che vi siete creati... è che non sapete come evadere. Se foste stupidi non stareste leggendo questo libro; lo state leggendo proprio perchè avete un disperato desiderio di fuggire dal carcere. La verità è che i fumatori e le persone in sovrappeso non si creano da soli la loro prigione. Quest'ultima... è stata costruita per loro dal lavaggio del cervello esercitato dalla società occidentale...». A parte qualche parola un po' "forte", e forse evitabile, personalmente non avrei saputo dir meglio. E' proprio per questo che ripeto: Se si vuole ottenere qualche reale possibilità di successo, nel mantenere sotto controllo il peso corporeo...

... «Think different», please.

    Ed è in questo senso, allora, che dico: Vuoi vedere che, tra tanti soloni, il buon saggio, il generoso, il salace don Gino Bartali, facile profeta, avesse proprio lui ragione prima del tempo?

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    I singoli cicli della nostra N.E.LT. hanno sempre la durata di 10 giorni. Se il sondino viene applicato al mattino (vale a dire prima dell'ora di pranzo), il giorno di applicazione sarà conteggiato come primo giorno del ciclo; se il sondino viene applicato nel pomeriggio, il primo giorno del ciclo sarà considerato quello successivo.

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